Sindrome occhio secco: se preso in tempo migliora la vita
Da Redazione
Aprile 24, 2018
Sindrome occhio secco: è questa una malattia cronica, che necessita di un approccio di cura complessivo e soprattutto a lungo termine.
Sindrome occhio secco: la scienza cosa dice
Maurizio Rolando, direttore del Centro superficie oculare IsPre Oftalmica di Genova ha dichiarato che «La sindrome dell’occhio secco è una condizione molto comune che aumenta con l’età, soprattutto nelle donne. Si stima infatti che fra il 12 e il 16 per cento della popolazione generale presenti i sintomi del disturbo, senza però riconoscerlo come condizione patologica e di conseguenza senza adottare terapie mirate. La diagnosi tempestiva è invece il presupposto per una corretta gestione del problema».
I sintomi del disturbo provocano dolore agli occhi, secchezza, arrossamento, lacrimazione eccessiva, disagio provocato da lenti a contatto, irritazione da vento o fumo, occhi stanchi, sensazione di corpo estraneo nell’occhio, visione offuscata e fotofobia.
L’esperto spiega «L’occhio secco può influire sulla capacità di lettura e di guida, limitando quindi notevolmente la vita quotidiana di chi ne soffre. Senza contare il fatto che la somma di questi disturbi può, in alcuni casi, anche portare allo sviluppo di ansia e depressione: un quadro generale che denota senza dubbio la presenza di una condizione malattia cronica».
Da dove proviene la sindrome da occhio secco
Gli elementi che provocano l’occhio secco sono molteplici: dall’invecchiamento, fino ai fattori ambientali come l’inquinamento o l’uso dei monitor. Una volta individuata, la terapia si fonda sull’uso regolare, nell’arco del giorno, di sostituti lacrimali ad ampio spettro e accompagnata da un’accurata igiene della palpebra.
Secondo l’esperto «Occorre accertarsi che il sostituto lacrimale utilizzato sia privo di conservanti, perché durante la giornata la parte di acqua evapora lasciando quest’ultimo a contatto con l’occhio a concentrazioni crescent. Stiamo parlando di una malattia cronica per la quale ancora non esiste una cura definitiva – chiosa Aragona -. Un motivo in più per procedere in direzione di una diagnosi precoce e verso una gestione appropriata del paziente per migliorare la qualità della sua vista e della sua vita»
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