Cene di San Giuseppe, cosa sono? Origine e curiosità di questa tradizione del Sud Italia
Da Redazione
Marzo 10, 2017
Il 19 marzo si avvicina e oltre ad essere la Festa Del Papà, nel Sud Italia si fa strada una tradizione chiamata le Cene di San Giuseppe incentrata sulla carità. Si sa che San Giuseppe è un santo veramente polivalente: è protettore della famiglia, patrono dei falegnami e dei papà, ma anche dei poveri e degli orfani. Soprattutto in Sicilia, ma anche in alcune zone della Puglia e della Calabria, viene festeggiato con un rito che trae origine da un costume medievale incentrato sulla Sacra Famiglia e che mischia, come spesso accade, il sacro col profano e che aggiunge curiosità per chi non ne ha sentito parlare. Cosa sono quindi queste cene e come si svolgono? Ecco di seguito origine e curiosità su questa ricorrenza.
La sera del 19 di marzo la tradizione impone che i fedeli devoti al Santo allestiscano le cosiddette Cene o Tavolate di San Giuseppe. L’origine di questa usanza risale all’epoca medievale, periodo in cui i fedeli erano particolarmente devoti. Si raccoglievano le offerte vagando a piedi scalzi e prostrandosi anche con chi non si andava d’accordo, come fioretto. Gli invitati a questi banchetti erano e sono i poveri della comunità. Allora, chi allestiva queste tavolate erano le famiglie benestanti che offrivano il cibo gratuitamente come dono al Santo, magari per chiedere una grazia o ringraziare per averla avuta. E’ una sorta di voto fatto per fede e carità verso il prossimo. Nel Sud Italia e soprattutto in Sicilia, le Cene di San Giuseppe seguono una ritualità precisa, fatta di gesti, di preghiere, di canti e addirittura di pietanze preparate apposta per questa occasione. Questa festa è talmente sentita che in alcuni centri come ad esempio a Salemi e a Gela scenografia e devozione si fondono negli allestimenti e nel cibo: tutto per rendere onore alla Sacra Famiglia; cioè Gesù, Giuseppe e Maria.
Dopo aver saputo cosa sono e l’origine delle Tavolate o Cene di San Giuseppe, alcune curiosità riguardo alla ritualità e al cibo. Se il 19 marzo cade in periodo di Quaresima, in tavola non ci sarà la carne, bensì altre pietanze tradizionali a seconda del luogo. Si sa che il Sud Italia ha una tradizione culinaria millenaria e che a ogni festa che si rispetti, si ha uno o più piatti tradizionali. Salemi ha il “cucciddatu”, un pane a forma di stella che i fedeli donano al Bambino Gesù, impersonato da un orfanello; il “a’ parma”, un pane intagliato a forma di palma (in ricordo della palma da datteri che nutrì la Sacra Famiglia durante la fuga in Egitto), è offerto alla Madonna, incarnata da una donna povera del paese e “u’ vastuni”, un pane forgiato in forma di bastone fiorito, è dedicato a San Giuseppe. Anche Gela ha dei pani tradizionali a forma di attrezzi, cuore, stelle, luna, palma, sole, mano, gallo e croce per commemorare i momenti salienti della storia di ogni membro della Sacra Famiglia, nonché una tradizionale pasta ai legumi, “i virgineddri”. Chi fa la cena riceve dal giorno prima le visite delle persone fino alla mezzanotte e si fa la veglia pregando tutta la notte. Il 19 si va a prendere la Santissima Trinità, in rappresentanza delle persone bisognose a cui andranno le pietanze. A mezzogiorno, la Triade Santissima busserà per 3 volte e dopo essere stati accolti on canti e preghiere, si inizierà il banchetto. San Giuseppe avrà un bastone con tre gigli per sottolineare il miracolo del Tempio che permise di individuare in lui lo sposo della Vergine. Sarà lui a dirigere il banchetto, decidendo anche per i commensali. A fine pranzo, si porterà via il cibo rimasto per darlo ai poveri. Sempre a Gela, si allestiscono Tavolate di San Giuseppe sia nella Chiesa di San Francesco, sia nella Piccola Casa della Divina Misericordia: lo scopo è sempre quello di spronare i fedeli alla carità verso chi non ha nulla.
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