Mummia Ata, la storia di un feto malformato che sembra un alieno

0

La mummia Ata riscuote l’attenzione della scienza, dal momento che ad una prima osservazione tutto appare fuorché uno scheletro umano. Anzi si presenta con la testa allungata, arti lunghi e una strana (e minuscola) corporatura.

In un secondo momento dopo un’analisi approfondita si è capito che lo scheletro ritrovato ad Atacama, non certo un extraterrestre ma con molta probabilità è un feto umano femminile, non esente da malformazioni.

Mummia Ata, alieno si o no?

Se si guarda la foto lo scheletro di Atacama ha un’ altezza di solo 15 centimetri, ha delle orbite oculari molto inclinate, con appena 10 paia di costole e ha un cranio allungato.

La somiglianza con gli alieni grigi potrebbe anche esserci, grazie a un’attenta analisi del DNA si è stabilito che si tratta di un feto umano al 100%. Le sue strane forme dipendono da alcune anomalie genetiche, ancora sconosciute ai giorni nostri.

Lo scheletro ritrovato nel deserto cileno dovrebbe avere soli 40 anni fa. Garry Nolan, docente di microbiologia e immunologia presso l’Università di Stanford spiega «Ho saputo di questo esemplare da un mio amico e sono riuscito ad averne una foto: è impossibile guardarlo e non pensare che sia interessante, è sensazionale. Per questo ho detto al mio amico, ‘qualunque cosa sia, se ha un Dna, posso analizzarlo».

Il motivo per cui gli scienziati sono sicuri sia umano è che contiene dei tratti genetici simili agli antenati dei nativi americani ed europei.

Mummia Ata, lo studio degli scienziati

Nolan si è rivolto a Butte per capire meglio le origini della mummia. E così il prof. Butte commenta «Pensavamo che sarebbe stato un esercizio interessante applicare gli strumenti che abbiamo oggi a disposizione per vedere veramente quello che potremmo trovare. Il fenotipo, i sintomi e le dimensioni di questa «ragazza» erano estremamente inusuali, e analizzando questi vecchi campioni davvero sconcertanti, impariamo meglio come analizzare il DNA dei bambini oggi nelle condizioni attuali».

Con un’operazione che ricorda i testi biblici, Butte e Nolan hanno estratto un campione di DNA dalle costole di Ata, analizzando l’intero genoma. Essendo uno scheletro di soli 40 anni, il DNA risulta relativamente intatto quindi non è stato poi così difficile eseguire delle analisi. Nonostante l’8 percento del DNA fosse inestimabile con il DNA umano, ciò era dovuto a un campione degradato, non alla biologia extraterrestre. Infatti, un’analisi più sofisticata è riuscita a far corrispondere fino al 98% del DNA.

«Quello che è veramente venuto fuori da questo studio è stata l’idea che non dovremmo smettere di indagare quando troviamo un gene che potrebbe spiegare un sintomo. Potrebbero essere diverse le cose che vanno storte, e vale la pena ottenere una spiegazione completa, specialmente se ci avviciniamo sempre di più alla terapia genetica. Potremmo presumibilmente risolvere un giorno alcuni di questi disturbi, e vorremmo assicurarci che se c’è una mutazione, lo sappiamo. Quando studiamo il genoma di pazienti con sindromi insolite, ci potrebbe essere più di un gene o di un meccanismo coinvolto dal punto di vista genetico, cosa che non viene sempre considerata», la conclusione di Butte.