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Divorziati: hanno più rischio di infarti e ictus

Da Redazione

Aprile 18, 2018

Divorziati: hanno più rischio di infarti e ictus
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I divorziati hanno più rischio di infarti e ictus. Questo è quanto emerge da una ricerca del Karolinska Institutet di Stoccolma, pubblicata sull’European Journal of Preventive Cardiology, rivista dell’Esc, Società europea di cardiologia.

Divorziati e ictus: lo studio

Lo studio, che ha seguito 29.226 persone scampate a un primo attacco di cuore, è legato da numeri implacabili: i pazienti divorziati hanno un rischio più alto del 18% di essere vittime di un attacco di cuore contrariamente a coloro che sono sposati. Con una peculiarità che rende il dato di fatto meno ovvio e facilmente spiegabile con il carico di stress che porta con sé ogni separazione, più o meno traumatica.

I ricercatori assicurano che non si può arrivare alle stesse conclusioni per le persone non sposate e vedove, ossia coloro che risentono lo stesso di una condizione di solitudine o addirittura un addio definitivo al coniuge. Pur presentando anche loro un livello di rischio più alto contrariamente alle persone sposate, i collegamenti visibili non sono stati considerati statisticamente significativi dai ricercatori e così la sola evidenza è che rimanere sposati aiuta il cuore e le coronarie.

Perché i divorziati rischiano l’infarto?

Secondo il ricercatore Joel Ohm: «Sembra che il matrimonio sia protettivo contro gli eventi ricorrenti ma da questo studio non possono essere tratte conclusioni sui meccanismi che soggiacciono a questi risultati».

Insomma, se è chiaro che il matrimonio è un toccasana contro infarti o ictus, meno evidenti sono i motivi, sui quali ci si può ancora frenare alle supposizioni, in attesa di altri studi.

Una cosa a sé sono le condizioni socioeconomiche. Alte (35%) le variazioni tra le persone più ricche e le persone più povere. Anche il grado di cultura fa la sua parte: i pazienti con più di dodici anni di studio sulle spalle hanno mostrato un rischio di recidiva dell’infarto inferiore del 14% se confrontati con coloro che hanno studiato per nove anni o anche meno.

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