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Riattivato il cervello del maiale dopo esser morto, speranza per le cure dell’ictus

Da Redazione

Aprile 19, 2019

Riattivato il cervello del maiale dopo esser morto, speranza per le cure dell’ictus
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Dagli Stati Uniti arriva la rivoluzione nelle neuroscienze grazie al riattivamento del cervello di un maiale a seguito del suo decesso. La scoperta arriva dall’Università di Yale e dà speranza e rivelarsi fondamentale per lo sviluppo specifico di cure e terapie utilizzate contro i danni celebrali.

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Lo studio americano

I ricercatori dell’Università di Yale hanno messo a punto una nuova tecnica in grado di attivare di nuovo un cervello a seguito di un decesso. L’esperimento, condotto dal professor Nenad Sestan, è stato effettuato su ben 32 maiali. Gli scienziati, che hanno iniziato a lavorare al progetto già nel 2018, sono riusciti a dare di nuovo vita al cervello dei maiali morti fuori dal loro corpo per ben 36 ore. Il progetto, che è stato pubblicato anche sulla prestigiosa rivista scientifica Nature, ha visto come autori Zvonimir Vrselja e Stefano G. Daniele e anche la collaborazione della docente italiana Francesca Talpo che fa spola tra Yale e l’Università di Padova.

La ricerca statunitense ha permesso ai ricercatori di poter ripristinare nel cervello sia le funzioni cellulari che il flusso del sangue riuscendo, addirittura a formare delle sinapsi. Per quanto riguarda, invece, l’attività elettrica legata alle singole cellule, si è riscontrata una molto debole reazione. Questo vale a dire che non si può parlare di un vero e proprio risveglio della coscienza poiché l’elettroencefalogramma rimane piatto.

I ricercatori dell’Università di Yale sono riusciti a ridar vita al tessuto celebrale grazie all’irrorazione nel cervello di una sostanza molto similare nei componenti al sangue. In condizioni di normalità, il tessuto celebrale va a degradarsi in tempi molto ridotti, mentre con questa nuova riattivazione si preservano per più ore. Ad oggi, ancora si è obbligati a congelare i frammenti appartenenti al tessuto nervoso danneggiando, però, comunque le cellule.

Lo scopo della ricerca

Lo scopo della ricerca degli studiosi statunitensi è stato quello di fornire una tecnologia capace e in grado di conservare, anche dopo la morte, il cervello nelle condizioni migliori, per più tempo possibile. I ricercatori che analizzano sia il funzionamento del cervello sia i danni che sono causati in esso da gravissime patologie come, ad esempio, le ischemie o gli ictus, hanno così dato vita al progetto denominato BrianEx, promosso e sostenuto dal National Institutes of Health che si trova sempre negli Stati Uniti.

Come detto in precedenza, lo scopo è proprio quello di apportare benefici, attraverso questa nuova tecnica, sui quadri clinici molto gravi che riguardano i danni celebrali e le patologie in essi circoscritte. Con la nuova tecnica utilizzata dagli studiosi, in soldoni, si va a iniettare e pompare nel cervello, a temperatura ambiente, il Bex prefusato, che ha al suo interno agenti di contrasto, sostanze protettive e anche degli stabilizzanti.

La speranza è proprio quella che in futuro si possa utilizzare questa tecnica su cervelli umani e non animali per contrastare i danni dell’ictus, la più frequente malattia neurologica, a causa della quale il cervello, dopo una improvvisa chiusura o anche rottura di un’arteria, non riceve più sangue. Vediamo nel dettaglio cos’è un ictus, quali sono i sintomi e le cause.

Che cos’è l’ictus

L’ictus, come detto anche in precedenza, è una delle più frequenti patologie neurologiche che va a sottolineare un mancato passaggio del sangue. L’ictus può manifestarsi come ischemia a causa della chiusura o della rottura di un’arteria o sotto forma di emorragia dopo che viene inondato da sangue stravasato da un’arteria che si è rotta. E’ così che la comunità scientifica va a classificare le tipologie di ictus. Dunque abbiamo l’ictus cosiddetto ischemico che è dovuto proprio alla chiusura di un’arteria cerebrale o l’ictus emorragico che è dovuto alla rottura di una delle arterie cerebrali.

Analizzando il primo caso, l’ischemia celebrale comporta la morte delle cellule che venivano nutrite da quella arteria che si va a danneggiare e di conseguenza muoiono dopo aver subito un infarto. L’ischemia celebrale va a rappresentare la percentuale più alta di ictus, che in Italia è contata per l’85% dei quadri clinici. Andando nello specifico è possibile che una delle arteria si chiuda poiché al suo interno va a formarsi un coagulo che chiude in maniera definitiva una irregolarità presente nella parete dell’arteria stessa. In questo caso si parla di una trombosi cerebrale.

In altri casi può capitare, invece, che una delle arterie è raggiunta da coaguli, chiamati emboli che, partiti da lontano come ad esempio dal cuore o dalle placche ateromasiche, non portano più sangue. In questi casi si andrà a parlare di embolia cerebrale. L’ictus celebrale, che è pari al 20% dei quadri clinici determinano una emorragia cerebrale a causa dell’alta pressione arteriosa che va a rompere i vasi sia normo misura che malformati, i cosiddetti aneurismi.

Per quanto riguarda i danni bisogna vedere quale parte del cervello viene colpita poiché l’organo è responsabile del movimento e del funzionamento delle diverse parti del corpo e ogni lato del cervello va a controllate il lato opposto del nostro corpo, quindi se ad esempio si va a danneggiare il lato destro del cervello sarà la parte sinistra del nostro corpo che ne subirà le conseguenze.

Nei casi nei quali si è subito un danno al lato sinistro del cervello si manifestano difficoltà di linguaggio o di deglutizione, avere reazioni molto lente, perdita della visione nel lato destro per quanto riguarda entrambi gli occhi o anche una paralisi del lato destro e la perdita di sensibilità. Per quanto riguarda i dati, invece, al contrario di quello che si pensa l’ictus non è una malattia esclusivamente senile, ma si contano oltre 10mila casi nei quali i soggetti colpiti hanno un’età inferiore ai 55 anni.

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